Con il nostro editorialista Angelo Di Marino, oggi una riflessione sulla marcia dei trattori verso la capitale. La protesta del mondo agricolo.
Trattori in marcia verso Roma. Ma i veri problemi dell’agricoltura forse non sono i temi della protesta, partita dalla Germania, poi trasferitasi in Francia e lentamente approdata anche in Italia. In realtà, sembra che le motivazioni della protesta siano molto diverse tra loro, a seconda dei Paesi. Non solo c’è molta confusione ma addirittura in alcuni casi ci sono anche dei paradossi enormi. Di certo, a quel che appare, le rivendicazioni dei piccoli agricoltori, soprattutto quelli italiani, non solo sembrano essere inascoltate, ma addirittura sembrano essere marginali.
Gli agricoltori sono schiacciati dal potere contrattuale della grande distribuzione, ovvero soffrono per un livello dei prezzi esageratamente basso. Se un contadino riceve per un chilo di pane 22 centesimi di euro e il pane viene venduto al dettaglio, a noi consumatori, 3 euro al chilo, significa che il contadino non ha alcun potere contrattuale sul suo prodotto. Ma in realtà la narrazione che racconta la politica e le voci dei grandi produttori agricoli è altra cosa. In Italia la motivazione principale che anima chi protesta è legata alla scelta del governo Meloni di non prorogare per il 2024 l’esenzione Irpef. Al governo si contestata anche la norma sull’uso del 4% dei terreni coltivabili a funzioni non produttive. La verità che facciamo fatica a vedere è che siamo al fallimento di un modello agricolo che non esiste più in Italia da decenni.
Quello attuale infatti è in realtà un modello agro-industriale basato su produzioni intensive senza alcun controllo della filiera e dei prezzi, in balia della grande distribuzione (nel caso di prodotti destinati al consumo umano) o dell’industria mangimistica, per quei prodotti come il mais che ormai non vengono più prodotti per l’uomo, ma per diventare il cibo insostenibile del nostro cibo, cercando quindi di massimizzare la resa per ettaro anche a discapito della qualità ambientale del lavoro agricolo e pur a fronte di situazioni contingenti come la scarsità idrica. Ecco perché nessuno si accorge più invece di quel modello di agricoltura a misura d’uomo che per decenni ha consentito a quegli stessi agricoltori, con poche proprietà e poche bestie allevate non solo di vivere dignitosamente, ma soprattutto di avere un reddito capace di far studiare i figli, di costruirsi case. Insomma un benessere che certo costava sacrificio, ma raggiungibile attraverso il lavoro.
Il modello di agricoltura spinto dalle politiche europee ha privilegiato, anno dopo anno, le grandi proprietà, le aziende intensive. Giorno dopo giorno dunque abbiamo costretto i nostri agricoltori, quelli con pochi ettari da coltivare e pochi animali da allevare, a chiudere le aziende. A vendere i terreni. A trasformarsi in altro. Ad abbandonare le terre. Le aree interne del nostro sud, della nostra provincia, ne sono un esempio lampante. Dunque, se per le grosse aziende agricole, quelle proprietarie di quei grossi trattori in strada, dal costo di centinaia di migliaia di euro, le rivendicazioni nella protesta sono: un bilancio adeguato affinché i sussidi della Politica agricola comune (Pac) vengano ridistribuiti per sostenere la transizione verso un’agricoltura in grado di affrontare le sfide della crisi climatica e della biodiversità; per i piccoli agricoltori le rivendicazioni sono semplicemente fateci coltivare la nostra terra, pagateci i prodotti agricoli per quanto realmente valgono. Soprattutto fateci restare nelle nostre terre a produrre cibo per mangiare.
È inaccettabile infatti che nell’attuale PAC siano le aziende agricole più grandi a monopolizzare centinaia di migliaia di euro di aiuti pubblici, mentre la maggioranza dei piccoli agricoltori italiani non riceve alcun aiuto, perché non rientrano nei parametri immaginati dalla UE o al massimo ricevano poche briciole. Se non hai quantità sufficiente di terreni aziendali non puoi neppure accedere ai sussidi. Non puoi neppure chiedere aiuto alle banche. Dunque a questi agricoltori, quelli veri che la terra la conoscono zolla dopo zolla della loro piccola azienda, chi li aiuta? Nessuno. Norme, regolamenti che trattano un piccolo allevatore che potrebbe trasformare i suoi prodotti aziendali e venderli, con le stesse regole immaginate per le grandi aziende e multinazionali. E’ semplice capire come si costringe un piccolo agricoltore a cambiare mestiere. Eccolo il vero problema dell’agricoltura italiana e degli agricoltori che nessuno tutela e nessuno intende tutelare.
Nel mentre però, questo è innegabile, la UE continua ad erogare contributi di miliardi di euro a favore dell’agricoltura, ma quale? Quella che non semina più grano perché lo dobbiamo importare oppure per i grandi allevamenti intensivi di maiali, perché quelli a carattere famigliare non possono in alcun modo rispettare le regole stringenti che mirano a tutto, tranne che alle piccole produzioni di qualità. Forse è ora, anche per gli italiani di scendere dai trattori da 200mila euro, smetterla di sentirsi industriali e tornare, per quanto possibile ad essere contadini. Su tutto questo abbiamo chiesto l’opinione di Angelo Di Marino
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