Con il nostro editorialista Eduardo Scotti, una riflessione oggi sul disagio dei nostri giovani che non lavorano né studiano.
Lo dicono i dati, inequivocabili: l’Italia è l’unico Paese europeo dove gli stipendi sono diminuiti rispetto a 30 anni fa, mentre il boom immobiliare non accenna ad arrestarsi. Sarà questa la causa principale che impedisce ai nostri giovani di mettere su casa? Dunque, se pur si riesce a trovarlo un lavoro, poi alla fine bisogna fare i conti con l’affitto o magari con il mutuo da pagare, a costi insostenibili. La fotografia offerta dagli ultimi dati resi disponibile dall’Agenzia delle Entrate sui contratti stipulati nel 2021, indicano in modo chiaro come i canoni medi per tutte le tipologie di contratto di locazione sono aumentati del 5,8% rispetto al 2020 e del 5,2% rispetto al 2019. I dati più recenti, riportati dall’Osservatorio mensile Immobiliare, dicono che i canoni di fitto sono aumentati dell’1,3% da marzo ad aprile 2023 e di quasi il 6% rispetto al 2022. In un anno sono cresciuti del 5,4% in media in Campania. Questi dati, insieme a quelli sugli stipendi, basterebbero per capire perché i giovani italiani fanno fatica a lasciare casa di mamma e papà. Ma c’è dell’altro. Il fatto che gli studi, in Italia, durino mediamente di più rispetto a quelli degli altri Paesi europei ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro e di conseguenza la possibilità di andare a vivere da soli. Poi c’è anche la matrice sociale che incide in una doppia direzione: il 62,7% dei 25-64enni italiani ha almeno un titolo di studio secondario superiore in Italia, contro il 79,3% della media Ue. Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20%) è più bassa della media europea (33,4%). Questo divario comporta una minore occupazione o degli stipendi più bassi, anche se in Italia il gap salariale è ancora molto ridotto e spesso non premia sufficientemente chi ha studiato di più. Il sistema italiano non è abbastanza premiante rispetto ai partner europei, non solo in relazione agli stipendi, ma anche per la ricerca stessa del lavoro: in Italia i tassi di disoccupazione si attestano al 28,7% tra i diplomati e al 15,6% tra i laureati, risultando superiori del 14% e del 6,8% rispetto alla media europea. In definitiva è troppo semplice definire i nostri ragazzi dei “bamboccioni” che non si scolano dal divano di casa. La verità è più articolata: l’Italia non è un Paese per giovani semplicemente perché in crisi da troppo tempo c’è il nostro sistema economico e di istruzione. Sarà questo il motivo per il quale ben 120 mila laureati italiani sono andati all’estero nell’ultimo decennio, ed i due terzi di loro, ben 80.000, non sono rientrati. A questi occorre aggiungere anche i 3 milioni i giovani dai 15 ai 34 anni che non lavorano né studiano né sono in formazione professionale. Troppo spesso li etichettiamo come “bamboccioni” o “sdraiati”, colpevolizzandoli senza però conoscerli e senza capire veramente che il problema siamo noi adulti. Sono questi i temi che abbiamo affrontato oggi con Eduardo Scotti, in un botta e risposta da riascoltare
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disagio giovanile
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